Che cos’è la degenerazione del disco?
La degenerazione del disco intervertebrale è considerato un processo patologico multifattoriale che porta al deterioramento dei dischi intervertebrali e di conseguenza ad una alterazione della meccanica discale (Cazzanelli and Wuertz-Kozak, 2020).
Ad oggi, l’inizio e il progresso di questa patologia non sono ancora ben compresi. Le alterazioni strutturali e chimiche del disco non hanno ancora portato alla definizione di un modello specifico di malattia (Vergroesen et al., 2015), comunque riconosciuto come diversi fattori quali il carico meccanico non fisiologico, l’età e l’alterazione della nutrizione discale contribuiscono significamene alla progressione della patologia. (Cazzanelli and Wuertz-Kozak, 2020)
La causa primaria della degenerazione è comunque l’ereditarietà genetica (Hadjipavlou, Tzermiadianos, Bogduk and Zindrick, 2008).
La degradazione discale è legata anche ad alterazioni microscopiche connesse ad un deficit dei propri processi biochimici. Essa deriva dall’incapacità delle cellule di produrre, mantenere e riparare la matrice extracellulare del nucleo del disco stesso (González Martínez et al., 2017).
L’obiettivo di questo elaborato è di indentificare i fattori che portano alla degenerazione del disco e, mediante l’analisi di articoli, di evidenziare il metodo manipolativo più efficace per ridurre la sintomatologia dolorifica.
Quanto è diffusa?
La letteratura evidenzia che, i sintomi della discopatia, sono già riscontrabili negli adolescenti in circa un 20% della popolazione giovanile (Raj, 2008).
Inoltre considerando la popolazione giovanile, il 74% delle discopatie sono legate a predisposizioni genetiche (Martirosyan et al., 2016).
La degenerazione aumenta notevolmente con l’età ed in relazione al sesso, infatti, si evidenzia un maggior riscontro nei maschi. Nei soggetti di circa 70 anni, colpiti da degenerazione discale, si evidenzia un 60% che riporta una importante gravità di danno (Raj, 2008).
Degenerazione del disco e lombalgia
Sebbene la degenerazione del disco in molti casi sia asintomatica, questa patologia è ritenuta una delle principali cause di lombalgia. La lombalgia è una delle tre principali cause di disabilità nei paesi sviluppati e il numero di persone colpite è in aumento in tutto il mondo. Tale condizione, oltre ad essere una importante condizione clinica nelle società occidentali, presenta un importante impatto dal punto di vista socio-economico (Vergroesen et al., 2015).
Si stima che negli Stati Uniti almeno il 65-80% della popolazione abbia sofferto di lombalgia nel corso della vita (Urits et al., 2019).
Terapie standard e riduzione dei sintomi dolorifici
La terapia standard di questa patologia si basa principalmente su trattamenti conservatori. Questo tipo di terapie mirano alla riduzione del sintomo dolorifico piuttosto che alla riparazione del disco degenerato. Dalla letteratura scientifica che il 90% dei pazienti sottoposti all’uso della terapia conservativa hanno ottenuto una riduzione nella percezione del dolore (Raj, 2008).
La terapia conservativa prevede l’uso di farmaci analgesici, della fisioterapia e delle terapie cellulari. Sono sempre meno utilizzate le procedure chirurgiche invasive quali la fusione della colonna vertebrale o l’artroplastica (Cazzanelli and Wuertz-Kozak, 2020).
L’approccio osteopatico
La degenerazione del disco può portare ad una perdita della sua capacità idrostatica. Ciò causa una riduzione nella sua altezza ed a una limitazione del range di movimento della colonna. Queste alterazioni strutturali testimoniano che tale patologia costituisce una delle principali cause della lombalgia (Vieira-Pellenz et al., 2014).
L’approccio osteopatico si basa sull’utilizzo di tecniche manipolative di varia natura. Esse includono manovre di allungamento dei tessuti molli, di mobilizzazione e di manipolazione. La mobilizzazione comprende una serie di tecniche passive per articolare il rachide in tutti i suoi range di movimento; la manipolazione, invece, prevede l’uso di spinte ad alta velocità e bassa ampiezza sul tratto disfunzionale (Burton, Tillotson and Cleary, 2000).
Queste tecniche hanno l’obiettivo di restituire la mobilità fisiologica, di ridurre l’intensità e la disabilità causati dal dolore (Krekoukias et al., 2016).